L’idea era nata due anni fa durante un viaggio a Vojnić, con Paolo, Toni, Diego e Morena.
La voglia l’avevo dentro ancora da prima, ascoltando racconti di amici che avevano fatto il cammino di Santiago o altri cammini-pellegrinaggi intorno al mondo, tutti troppo lunghi e tutti troppo lontani.
Poi un giorno mi sono guardata intorno: queste terre, questa gente a cui ho dedicato oltre 18 della mia vita; questa terra in cui avevo abitato all’inizio degli anni ottanta, allora un’unica terra, la mitica Jugoslavia ancora in lutto per la scomparsa di quello che molti consideravano “padre”, cioè Tito.
Allora ero alla mia prima “trasferta” all’estero, a cui poi ne sono seguite altre (Austria, India, Nepal). Forse per quel motivo ogni suono, ogni viso, ogni sapore si erano impressi così profondamente nel mio cuore e nella mia memoria.
Per questo l’idea di un cammino che ci facesse percorrere un misto di terre e di popoli, o “etnie”, e aiutarci a ricomporre quel cuore balcano che la triste guerra degli anni novanta aveva lacerato. Un cammino che si potesse fare ripetutamente, con gruppi diversi, a piedi o anche in bici. Un cammino che valorizzasse la bellezza di queste terre, ricordasse i drammi vissuti a chi forse non ne era al corrente, portasse una ventata di pace e insegnasse a tutti lezioni preziose. Un cammino di pace e solidarietà.
Dalla formulazione di un’idea alla sua realizzazione può passare del tempo: un primo viaggio esplorativo nella primavera del 2013, poi altri, poi ritardi dovuti ad impegni e problemi di salute.
E finalmente, una mattina nuvolosa, il 29 aprile 2014, il nostro gruppetto di 4 e relativi bagagli si infila in quella che un amico ha definito la Panda di Mago Merlino, alla volta di Turanj, museo della guerra, nei pressi di Karlovac (in Croazia), cioè il punto di partenza di una camminata di 4 giorni che ha come destinazione finale la città di Bihać, nella zona nord-ovest della Bosnia. In tutto un po’ meno di cento chilometri di cammino.
Nessuno di noi ha mai fatto una cosa del genere, ma Toni ci ha decisamente aiutato con un buon lavoro di preparazione, con tracce da seguire, Garmin, ecc. Dimenticavo: Toni è un esploratore nato, con anni di deserti africani e caucasici alle spalle, quindi la persona giusta.
Le previsioni meteorologiche non sono delle migliori e infatti il primo giorno camminiamo sotto la pioggia per una buona parte del percorso, una strada bianca che si snoda tra campi coltivati e boschi.
Ogni tanto qualche casupola, una fattoria, poi un anziano dagli occhi dolcissimi ci avverte che avremmo incontrato un poligono militare, che infatti prudentemente costeggiamo…
Ad un certo punto usciamo bagnaticci dal bosco e, come per magia, ci troviamo di fronte la casa di Marjian e Giurgia! Che sollievo, che bello arrivare da loro, toglierci scarpe e vestiti bagnati e scaldarsi intorno alla stufa a legna.
Conosciamo Marijan, Giurgia e i loro tre figli da parecchi anni. Sono entrambi croati e dopo la guerra si sono trasferiti nei pressi di Vojnić in una zona pressoché spopolata e per sopravvivere hanno imparato a fare i contadini. D’estate la loro casa-fattoria è il campo base per tanti dei nostri campi di lavoro. Giurgia ci ha preparato un bel brodo caldo con una gallina vecchia e una delle sue cene “domaće”. Ci voleva. E ci voleva anche una buona notte di riposo, per poi affrontare la seconda giornata di cammino, più impegnativa della prima.
Con la Panda Toni ci porta fuori Vojnić, all’imbocco di un’altra strada bianca che percorre la zona montuosa e boschiva della Petrova Gora. Qualche nuvola all’orizzonte, ma per ora un bel sole ha baciato le prime ore del nostro cammino. Ci muoviamo più lentamente di ieri, salutiamo tanti visi curiosi che spuntano fuori dalla varie casupole sparse, per lo più anziani e contadini…
Incontriamo Toni che con la Panda ci porta a dare un’occhiata al monumento che si e regge sulla cima della Petrova Gora, in totale stato di abbandono, cimelo dell’epoca socialista, erbacce e rovine. Riprendiamo a camminare per un sentiero boschivo e incontriamo infatti parecchi boscaioli…
Toni doveva raggiungerci per pranzo e invece viene bloccato dietro un camion, quindi noi continuiamo a camminare. Alla fine ci ricongiungiamo e ci stringiamo in macchina a mangiarci un panino sotto l’acqua. Poi riprendiamo per un sentiero che alla fine ci porta su una strada asfaltata e qui ritroviamo Toni che con entusiasmo ci parla di questa stradina che ha appena esplorato, di questo ponticello fatiscente… beh, montiamo in macchina perché anche noi vogliamo provare la stessa emozione!
E non è finita. Percorriamo una strada da Land Rover (e comunque, non si sa come, ma Paolo riesce a farsi la sua penichella), per sbucare sulla statale a due chilometri dal confine con la Bosnia e trovare una fila lunghissima di auto targate Slovenia, Austria, Germania. Ah sì, domani è il primo maggio e questi sono bosniaci che tornano a festeggiarlo da lontano, tornano alle radici…
Con un po’ di ritardo sulla tabella di marcia arriviamo a casa di Hadmo e Zumreta, una coppia di Velika Kladuša che Paolo e Toni avevano conosciuto un anno fa. La sorpresa è immensa e subito si mobilitano per una cena a base di agnello, cipollotti, uova sode, formaggio locale e non poteva mancare la šlivovica, la grappa locale (davvero buona!).
Hamdo è una persona coinvolgente ed esplosiva, riesce perfino a recuperare una chitarra perché è amante della musica italiana e infatti sia lui che la moglie si accendono alle note di “Volare”, “Che sarà sarà”, “Marina” ecc. Chiamano amici, vicini, perfino amici distanti per telefono, insomma, una gran festa. Ci raccontano della guerra, dei mesi passati in campo di concentramento; si fa fatica ad immaginare queste persone gentili e umili costrette a vivere situazioni così crudeli. Dentro di me penso: “Ma io, al loro posto, ce l’avrei fatta?”
Poi arriva una parente con la baklava, il dolce tipico che è amore o disgusto a prima vista. Si sta facendo tardi e ad un certo punto dobbiamo scusarci e andare a letto per recuperare un po’ di ore di sonno prima di quella che Toni preannuncia essere la giornata più impegnativa del cammino.
La mattina ci alziamo felici perché c’è un bel sole e l’atmosfera generale è comunque di festa. Meno male che troviamo una pekara (panetteria) aperta per qualche panino! Siamo ansiosi di iniziare il cammino e vedere nuovi paesaggi. Oggi passeremo vari villaggi e infatti ammiriamo di continuo l’industriosità di queste famiglie che stanno ricostruendosi case, orti, giardini. Non passiamo per veri e propri villaggi ma solo piccoli nuclei sparsi di case, alcune molto belle, altre ancora catapecchie e ruderi di guerra.
Verso ora di pranzo il solito appuntamento con Toni e le provviste, stavolta sotto un albero lungo la strada. Ad un certo punto Toni esprime un desiderio: “che bello sarebbe bersi un caffè, peccato che non ci siano bar nelle vicinanze…”
Dopo solo qualche secondo una ragazza bionda spunta fuori da una casa vicina e ci fa segno con le mani. All’inizio non capiamo, poi sì, ci chiede se vogliamo un caffè! Entusiasti dell’idea passiamo dal sorseggiare questo buon caffè bosniaco sulla porta di casa, al toglierci le scarpe ed accomodarci sul divano di casa, circondati da tutti i 7 membri di questa ospitale famiglia musulmana che quando ripartiamo ci abbracciano come se fossimo famiglia anche noi!
Il cammino prosegue. Sole, pioggia, di nuovo un sole caldissimo e strada in salita.
Ci ritroviamo con Toni per un breve aggiornamento, io e Irene ne approfittiamo per toglierci le scarpe ed esaminare le vesciche acquisite. Irene sistema la sua con ago e filo (ricetta ceca imparata dal papà), la mia invece sta crescendo a dismisura, grazie anche alla povera scelta di scarpe (mai più!), che hanno fatto entrare parecchia acqua.
Continuiamo a camminare attraverso piccoli villaggi, correndo via da un cielo cupo e minaccioso.
Lampi e tuoni convincono me e Irene a salire in macchina con Toni, mentre Paolo imperterrito continua a camminare, rinunciando in seguito anche all’ombrello (meglio senza ombrello, con i fulmini nei paraggi). A un certo punto inizia a grandinare ma niente lo ferma e si fa il resto dei 6 chilometri pattuiti. Risale in macchina con qualche chilo di vestiti bagnati in più ma soddisfatto di aver tenuto duro. (Reduce dalla gloriosa mezza maratona con Rolly, cos’è poi un temporale?)
In macchina arriviamo a Lohovo, vicino a Bihać, il villaggio dove pernotteremo. Miracolosamente Toni si ricorda la strada e arriviamo a questo nucleo di case in ricostruzione. Dimenticavo: siamo passati da Bihać a recuperare Annalisa, una coraggiosa fotografa veneziana che vive a Milano, da qualche giorno in giro per i Balcani appunto a far foto. Con lei passeremo una bellissima serata a casa di Radmila, Drago e figli.
Grazie ad un progetto della Cooperazione Italiana in Bosnia Erzegovina una ventina di famiglie stanno ricostruendosi case e campagne, dopo essere stati scacciati nel 1995 e aver passato parecchi anni in Serbia come profughi. La cena è a dir poco sontuosa e ovviamente stiamo su a parlare con loro e con altri parenti e vicini che, decisamente “alla bosniaca”, girano per la casa.
La mattina ci svegliamo con la bella notizia che Toni è finalmente diventato nonno! Quale miglior occasione per brindare con della buona šlivovica accompagnata da una mega colazione? Ancora un po’ sconvolto dalla notizia, Toni è comunque in forma perfetta per guidarci lungo l’ultima giornata di cammino e ci porta all’entrata di un percorso favoloso lungo il fiume Una.
A questo punto, ho fatto la dolorosa decisione di dover rinunciare. La notte passata a tenere i piedi devastati dalle vesciche in acqua fredda e il pensiero che dopo un paio di giorni avrei dovuto affrontare un viaggio impegnativo in Bosnia, mi convincono a rimanere in macchina con Toni e salutare con un po’ di tristezza i miei compagni di cammino. Mi asciugo una lacrimuccia, ma ci vuol poco con uno come Toni per far tornare il sole. Decidiamo di andare a berci un caffè nel villaggio vicino, con l’idea che poi mi sarei messa a scrivere e lui a studiare. Invece una parola tira l’altra e passiamo la mattina immersi in conversazioni così profonde da far impallidire gli abissi del fiume Una che leggiadramente ci scorre vicino.
Ci ritroviamo per pranzo a Štrbački Buk, il paradiso dei fotografi: cascate spettacolari e tanto verde, e anche tanta gente venuta a fare picnic in questa bella giornata di sole.
Irene e Paolo proseguono fino alla fine dei chilometri pattuiti per quello che per ora consideriamo la fine del cammino. Qualche chilometro in macchina e siamo a Bihać, città punto di arrivo.
Abbiamo un regalo da consegnare, da tempo, all’imam della moschea in centro. Sono in corso le preghiere, così aspettiamo anche noi in reverente silenzio. L’imam in questione non c’è, ma lasciamo il regalo al suo sostituto, che comunque si ricorda con piacere della nostra visita 3 anni prima.
Qualche altra foto, un ultimo burek e si riparte per Rijeka, stanchi ma davvero felici e soddisfatti di questa impresa.
Abbiamo il cuore che trabocca di paesaggi stupendi, di canti di uccelli, cuculi e grilli, di visi dolci di gente provata ma ancora così ospitale. Riflettiamo sul fatto che abbiamo dormito tre notti a casa di gente di tre diverse etnie, che durante la guerra si erano scatenate contro l’un l’altra con una furia micidiale. Tre famiglie con tre storie diverse ma anche tanto in comune e soprattutto con lo stesso senso di ospitalità che ancora ci spiazza dopo tanti anni in queste terre.
Quel grande cuore balcano si sta ricomponendo? Almeno per noi, almeno per questo cammino appena nato, sì.
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